L’Osservatore
Romano mercoledì 24
agosto 2016
Di fronte all’insegnamento dell’esortazione apostolica Amoris laetitia
Magistero da accogliere e attuare
di SALVADOR
PIÉ-NINOT
In questa fase di
recezione ecclesiale dell’Esortazione apostolica Amoris laetitia (19 marzo 2016) di Papa Francesco sono emersi degli
interrogativi sul tipo di magistero che questo documento rappresenta. Per
poterlo definire in modo teologicamente corretto, può essere utile fare
riferimento all’Istruzione – di certo poco conosciuta – « Sulla vocazione ecclesiale del teologo » della Congregazione per la
dottrina della fede, firmata nel 1990 dall’allora cardinale prefetto Joseph
Ratzinger, che commenta le diverse forme del magistero della Chiesa presenti
nella nuova formula della “Professione di fede”. Queste forme sono tre : il magistero
infallibile, il magistero definitivo e il magistero ordinario ma non definitivo,
essendo quest’ultimo quello applicabile ad
Amoris laetitia come anche alla maggior parte dei testi magisteriali
attuali.
Questa forma di
magistero ordinario non definitivo secondo la citata Istruzione ha come
obiettivo specifico quello di proporre « un insegnamento, che conduce ad una
migliore comprensione della Rivelazione in materia di fede e di costumi, e
direttive morali derivanti da questo insegnamento » che, « anche se non sono garantite
dal carisma dell’infallibilità, non sono sprovviste dell’assistenza divina, e
richiedono l’adesione dei fedeli » (n. 17), adesione definita come « un
religioso ossequio della volontà e dell’intelligenza » (n. 23). Per questo si
afferma che « la volontà di ossequio leale a questo insegnamento del Magistero
in materia per sé non irreformabile deve essere la regola ». Per questa ragione
tale forma di magistero viene descritta dall’Istruzione come « di ordine
prudenziale », giacché comporta « giudizi prudenziali », anche se viene
attentamente precisato che tale qualifica non significa che « non goda dell’assistenza
divina nell’esercizio integrale della sua missione » (n. 24).
Va inoltre notato
che il magistero ordinario ma non definitivo, proprio come le altre due forme
del magistero, quello infallibile e quello definitivo, sono espressione
dell’unico magistero vivo della Chiesa, che il concilio Vaticano II ha
descritto con precisione come l’« ufficio [...] d’interpretare autenticamente
la parola di Dio [ affidato alla Chiesa che lo esercita ] nel nome di Gesù Cristo
», poiché il « magistero però non è superiore alla parola di Dio ma la serve [...]
con l’assistenza dello Spirito Santo » (Dei
Verbum, n. 10). Perciò, il concilio Vaticano II precisa in tal senso, con
un testo che si può applicare chiaramente ad Amoris laetitia, che « questo assenso religioso della volontà e
della intelligenza lo si deve in modo particolare prestare al magistero autentico
del romano Pontefice, anche quando non parla ex cathedra. Ciò implica che il suo supremo magistero sia accettato
con riverenza, e che con sincerità si aderisca alle sue affermazioni in
conformità al pensiero e in conformità alla volontà di lui manifestatasi che si
possono dedurre in particolare dal carattere dei documenti, o dall’insistenza nel
proporre una certa dottrina, o dalla maniera di esprimersi » (Lumen gentium, n. 25).
È dunque in
questo contesto di comprensione del magistero ordinario, sebbene non
definitivo, che si deve comprendere ciò che Papa Francesco stesso afferma all’inizio
di Amoris laetitia sulla portata di
questa Esortazione apostolica : « la complessità delle tematiche proposte ci ha
mostrato la necessità di continuare ad approfondire con libertà alcune
questioni dottrinali, morali, spirituali e pastorali [...]. Naturalmente, nella
Chiesa è necessaria una unità di dottrina e di prassi, ma ciò non impedisce che
esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune
conseguenze che da essa derivano. Questo succederà fino a quando lo Spirito ci
farà giungere alla verità completa (cfr. Giovanni
16,13), cioè quando ci introdurrà perfettamente nel mistero di Cristo e potremo
vedere tutto con il suo sguardo » (Amoris
laetitia, n. 2-3). Come si può osservare, in queste parole di Papa
Francesco risuonano le caratteristiche che l’Istruzione attribuisce al
magistero ordinario non definitivo, quale insegnamento « di ordine prudenziale »
e con « giudizi prudenziali », che inoltre « godano dell’assistenza divina e di
ossequio leale » (cfr. Sulla vocazione ecclesiale
del teologo, n. 24).
In questo
contesto si comprende ancor più che il Papa osservi anche che « la riflessione dei
pastori e dei teologi, se è fedele alla Chiesa, onesta, realistica e creativa,
ci aiuterà a raggiungere una maggiore chiarezza » (Amoris laetitia, n. 2).
Questa fedeltà
alla Chiesa è ampiamente espressa nei tre principi presentati da Papa
Francesco, soprattutto per affrontare le situazioni dette “irregolari ”, che
riprende dalla tradizione viva della Chiesa, esemplificata dai numerosi
riferimenti al concilio Vaticano II, come anche dalle quattordici citazioni del
teologo più importante della Chiesa, ovvero san Tommaso d’Aquino. Il primo
principio è la legge della gradualità : si tratta di un principio proposto in
continuità con il magistero di Giovanni Paolo II quando afferma che ogni essere
umano « avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio e
delle esigenze del suo amore definitivo ed assoluto nell’intera vita personale
e sociale » (Familiaris consortio, n.
9) dato che l’essere umano « conosce ama e compie il bene morale secondo tappe
di crescita » (n. 34). Per questo in Amoris
laetitia precisa che « non è una “gradualità della legge”, ma una gradualità
nell’esercizio prudenziale degli atti liberi in soggetti che non sono in
condizione di comprendere, di apprezzare o di praticare pienamente le esigenze oggettive
della legge » (n. 295). Per questo, alla fine indicherà, con un tocco di
profondo realismo e di invito alla speranza cristiana, di « relativizzare il
cammino storico che stiamo facendo come famiglie, per smettere di pretendere dalle
relazioni interpersonali una perfezione, una purezza di intenzioni e una
coerenza che potremo trovare solo nel Regno definitivo » (n. 325).
Il secondo principio
è partire dalla coscienza : Papa Francesco fa riferimento alla coscienza in ventinove
occasioni e ricorda come il concilio Vaticano II l’abbia definita « il nucleo
più segreto [...] dell’uomo (Gaudium et
spes, 16) » (Amoris laetitia, n.
222). A sua volta afferma con chiarezza che « siamo chiamati a formare le coscienze,
non a pretendere di sostituirle » (n. 37). Di fatto, « a partire dal
riconoscimento del peso dei condizionamenti concreti, possiamo aggiungere che
la coscienza delle persone dev’essere meglio coinvolta nella prassi della
Chiesa in alcune situazioni che non realizzano oggettivamente la nostra
concezione del matrimonio. Naturalmente bisogna incoraggiare la maturazione di
una coscienza illuminata, formata e accompagnata [...] in mezzo alla complessità
concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo » (n.
303).
Il terzo
principio è quello della necessità del discernimento, citata trentacinque
volte, facendo chiaramente eco a Ignazio di Loyola e confermata da due
citazioni precise di Tommaso d’Aquino (n. 304). Il principio che viene proposto
è il seguente : « Se si tiene conto dell’innumerevole varietà di situazioni
concrete [...], è comprensibile che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da
questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a
tutti i casi [...]. I presbiteri hanno il compito di “accompagnare le persone interessate
sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli
orientamenti del Vescovo [...]”. Si tratta di un itinerario di accompagnamento
e di discernimento che orienta [ questi fedeli ] alla presa di coscienza della
loro situazione davanti a Dio. Il colloquio col sacerdote, in foro interno,
concorre alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità
di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa e sui passi che possono
favorirla e farla crescere [...]. Questo discernimento non potrà mai
prescindere dalle esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte dalla
Chiesa » (n. 300). Tale compito di discernimento è affidato anche a « laici che
vivono dediti al Signore » (n. 312), vale a dire a laici e laiche che vivono una
esperienza spirituale cristiana matura.
In questo
contesto si trovano le parole più significative sulla possibilità di fare la comunione
da parte dei divorziati risposati. Di fatto, « a causa dei condizionamenti o
dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di
peccato – che non
sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si
possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità,
ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa » (n. 305). Questo testo viene
completato con una nota : « In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti
», come il sacramento del « luogo della misericordia » : la Penitenza, come pure
l’Eucaristia, tenendo presente che « non è un premio per i perfetti, ma un generoso
rimedio e un alimento per i deboli » (nota n. 351, in riferimento a Evangelii gaudium, nn. 44, 47).
In sintesi si può
dunque affermare il valore magisteriale di Amoris
laetitia come magistero ordinario, che, pur non essendo definitivo, è
comunque « interpretazione autentica della Parola di Dio » (cfr. Dei Verbum, n. 10), in quanto
insegnamento di « ordine prudenziale » del Successore di Pietro nella Chiesa,
il Papa, che « gode dell’assistenza divina » (cfr. Sulla vocazione ecclesiale del teologo, n. 24 ; cfr. Amoris laetitia, nn. 2, 3, 295), e per
questo va accolto religiosamente e con spirito leale e cordiale (cfr. Lumen gentium, n. 25). È questo
l’atteggiamento fondamentale di sincero accoglimento e di attuazione pratica
che questo tipo di magistero – e in questo caso Amoris laetitia
– comporta per tutti i membri
della nostra Chiesa.
Ciò include anche
osservare i criteri proposti per dare risposta alle domande che si pongono oggi
alla famiglia, tenendo fortemente presente che « comprendere le situazioni
eccezionali non implica mai nascondere la luce dell’ideale più pieno né
proporre meno di quanto Gesù offre all’essere umano » (Amoris laetitia, n. 307), dato che « la famiglia è davvero una
buona notizia » (n. 1). Non si può negare che, come dice lo stesso Papa
Francesco, Amoris laetitia si offre
come riflessione « fedele alla Chiesa, onesta, realistica e creativa, [ che ] ci
aiuterà a raggiungere una maggiore chiarezza » (n. 2). Benvenuta, e che così sia !